Cenni storici e caratteristiche
In principio fu il tanka…
La poesia classica giapponese, spesso identificata nel tanka (letteralmente “poesia breve”), è rimasto inalterato dal V sec. d.C.; infatti, nasce e si afferma, per l’esattezza, durante il periodo Heian (794 – 1185).
Il tanka è formato da 5 versi di 5+7+5+7+7 sillabe (in totale 31 sillabe) e viene considerato come composto da 2 ku [strofe] rispettivamente di 5+7+5 sillabe (kami no ku) e di 7+7 sillabe (shimo no ku). Costituisce un piccolo poema, e questa sua brevità gia di per sé costituisce un elemento di bellezza (poiché, secondo Sei Shonagon, “tutte le cose piccole sono belle”).
La fortuna del tanka raggiunse tali livelli da essere assunto come mezzo privilegiato di comunicazione alla corte.
Col passare del tempo, questa struttura si frammenta in una serie di battute, raggiungendo i suoi apici nell’XI e nel XII sec., sino a divenire una sorta di dialogo virtuosistico in versi tra un poeta che compone la prima strofa, ed il suo interlocutore che risponde con la seconda. Ad essi si aggiungono via via altri partecipanti, trasformando il tanka in un kusari-renga, ossia una “poesia a catena”. Ciascuna strofa deve richiamare solo quella precedente, creando così un variegato movimento all’interno della composizione, che poteva raggiungere le oltre cento strofe, seguendo un meccanismo simile a quello delle scatole cinesi.
Già da questa fase, si può comprendere l’importanza della prima strofa, che finirà poi per emanciparsi prendendo il nome di hokku.
Inizialmente destinato solo all’ambiente della corte, il renga divenne così popolare da diffondersi anche al di fuori: nasce così il chika-renga, ossia le composizioni redatte da persone non nobili.
Nuovi contenuti e nuove forme si svilupparono, liberandosi, almeno in parte, dalle convenzioni e dai manierismi, lasciando spazio alla spontaneità: ecco quindi
l’haikai-no-renga¸diffusissimo nel XVII secolo, in cui lo stile si abbassa sino a divenire umoristico e leggero, a volte persino triviale.
Ed è in questo scenario che s’inserisce Matsuo Bashõ (1644-1694), in un contesto segnato da un profondo rinnovamento sociale e da un nuovo fervore artistico: è l’età in cui fiorisce la classe borghese, al centro di interessi non più solo economici, ma anche politici e culturali. E’ una sorta di “rinascimento giapponese”.
Ed è grazie a Bashõ che nasce l’haiku vero e proprio.
L’haiku “è una suggestione semplice e profonda” e ha una struttura fissa di 5-7-5 sillabe (o corta lunga corta) all’interno della quale vengono eliminati i fronzoli come le congiunzioni e molti altri elementi che abbondano invece nella poesia a più strofe.
È una poesia di cose non di idee.
Fa riferimento attraverso il kigo (o riferimento stagionale) alle quattro stagioni, nel quale si cristallizzano le emozioni sfumate che percorrono una data stagione.
Soggetto dell’haiku sono scene rapide ed intense che rappresentano, in genere, la natura e le emozioni che esse lasciano nell’animo dell’haijin (il poeta).
La mancanza di nessi evidenti tra i versi lascia spazio ad un vuoto ricco di suggestioni.
Vengono quasi dipinti dei lievi tratti, come nella pittura impressionistica, i contorni non sono definiti, ma – proprio per questo – lasciano lo spazio all’animo e alle sensazioni di passare più rapidamente dal verso al cuore ad una comunicazione interna che è libera, e fluisce, dai versi appena accennati, alla nostra interpretazione, che non è necessariamente mentale.
Quasi “una folata di vento che ridesta l’assopito…”
Chi non riesce a percepire la bellezza di una semplice folata di vento che porta il profumo della prossima stagione?
È questione di percezione, è questione di valore dato ad una singola sensazione.
“L’haiku è un’impressione, un’istantanea del mondo; non documenta, illustra. Eppure non s’impone.”
Come semplici esempi, rimando ai tag haiku e tanka.
Non fatevi scoraggiare dall’apparente rigidità della metrica sillabica: dimenticate la grammatica italiana, seguite la scansione ritmica del singolo verso e la musicalità delle parole… ad es., noterete che 2 vocali vicine nella metrica si annullano a vicenda e nella lettura tendono ad unirsi in una sola sillaba!
Es.: “ron-di-niin-viag-gio”… sarebbero almeno 6 sillabe in grammatica, ma sono 5 sillabe per l’haijin!
E ora, amici miei, cimentiamoci!
Fonti