San Valentino in Giappone

In Giappone, dopo le feste di fine anno ed i saldi invernali inizia subito la campagna per San Valentino. A partire da metà gennaio, molti negozi, e non solo quelli di dolciumi, cominciano a vendere i diversi tipi di cioccolato. Nei grandi magazzini viene allestito un angolo dedicato a San Valentino in cui si vendono, oltre all’enorme varietà di cioccolato, gadgets quali biglietti d’auguri, carte da regalo, nastri colorati, ecc.
Per i Giapponesi questa giornata è diventata una delle ricorrenze più celebrata.
Valentine's Day Chocolate - Photo (c) Setsuko YoshizukaLe ragazze regalano cioccolatini ai ragazzi per dichiarare il loro amore: sono gli honmei choco e sono sempre ben confezionati e costosi. Ancora più gradito è il cioccolatino fatto a casa, cui di solito si allega un romantico messaggio d’amore.
Quanti di noi non hanno visto almeno una volta negli anime giapponesi la scena della studentessa di liceo che cucina, confeziona e poi consegna timidamente il proprio honmei choco?
Tra i teenagers, infatti, San Valentino è il giorno delle sfide: in Giappone è vietato portare merende di ogni genere a scuola (fino alle superiori), incluso il cioccolato, e come regalarlo allora agli amati senza farsi pizzicare dagli insegnanti diventa il problema numero uno della giornata. Quanto ai ragazzi, invece, San Valentino è il giorno vissuto probabilmente con maggior ansia di tutto l’anno, perché in base al numero i cioccolati ricevuti hanno modo di verificare la propria popolarità.
Inoltre, esiste anche un altro tipo di cioccolato da regalare: è il giri choco, il cioccolato d’obbligo, che viene regalato per simpatia ad amici, colleghi o datore di lavoro.
In ogni caso, qualunque sia il tipo di cioccolato ricevuto, i ragazzi dovranno poi ricambiare il dono alle ragazze il 14 Marzo, giorno battezzato come White Day. Stavolta però il cioccolato per tradizione dovrà essere bianco.
 
Come nasce questa festa:
Nel 1936 una ditta dolciaria di Kobe, la Morozoff, fondata da un immigrato russo, cercò di introdurre nel paese questa tradizione, anche per poter vendere qualche cioccolatino in più, ma il clima sempre più anti-occidentale fece sì che l’iniziativa naufragasse.
La Morizoff fece un secondo tentativo nel 1952, ma i risultati non cambiarono.
Solo nel 1958, una ditta di cioccolato di Tokyo, la Mary’s Chocolate Company, riuscì con successo ad introdurre questa ricorrenza che da allora ha avuto un sempre maggiore successo nella società nipponica.
 
Fonti:

Karesansui – Giardino Zen

Respiro quiete –
tra isole di sabbia
rinasco bonzo
 
Nella danza dei gingko
oggi contemplo il sole

 
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Il giardino karesansui (枯山水), conosciuto in occidente come giardino zen, rappresenta la fusione tra l’arte del giardino giapponese e la filosofia zen. L’estremo simbolismo dello zen, trova la sua espressione all’interno del giardino giapponese con l’assegnazione di un grande valore sia a pochi singoli elementi che al grande protagonista estetico, il vuoto. La pietra, presente in pochi esemplari accuratamente scelti, non solo sta a rappresentare, come nella tradizione, montagne e piante, ma è simbolo di tutte le cose del mondo naturale; icona dell’esistenza stessa delle cose come le percepiamo, rappresenta la materia in contrapposizione con gli spazi vuoti.

La disposizione apparentemente casuale delle pietre, talvolta lontane e solitarie, talvolta vicine e affastellate, richiama non solo la solitudine e l’incapacità dell’uomo di relazionarsi armoniosamente con l’ambiente naturale, ma vuole trasmetterci un messaggio chiaro e distinto: concepire gli oggetti e gli esseri di questo mondo come entità singole a se stanti significa riconoscere all’esistenza stessa del nostro universo un carattere di tragica solitudine e incomunicabilità. Al contrario, pace ed armonia vengono raggiunte quando si individuano gli spazi vuoti e i rapporti tra gli oggetti materiali come protagonisti e leganti della realtà in continua trasformazione. Il seguace dello zen è un’osservatore, ed è parte della natura. Egli non cerca di comprendere, il suo campo d’azione è l’interazione pacifica con il naturale divenire del mondo materiale.

Gli elementi (acqua, piante, pietre) sono rappresentati in maniera simbolica da pietre e ghiaia. L’acqua viene rappresentata da "fiumi" di ghiaia il cui moto si scontra con l’emergenza dal suolo di grosse pietre dalle forme naturalmente disordinate, allo scopo di simboleggiare il dinamismo delle forme della natura.

Ecco alcune interpretazioni dei disegni nei giardini zen:

  • La ghiaia rappresenta l’oceano e le pietre rappresentano le isole del Giappone.
  • Le rocce rappresentano una mamma tigre con i cuccioli che nuota verso un drago.
  • Le rocce formano parte del kanji per cuore o mente.

L’usanza di avere giardini di sabbia e pietra venne introdotta in Giappone dalla Cina e dalla Corea, ma furono i monaci zen a creare il karesansui. Il giardino Zen si trasforma quotidianamente seguendo e riflettendo il costante mutamento dell’universo, creando uno spazio di pace tranquilla, di silenzio arcano e di grande armonia; la mente può espandersi e liberare l’ immaginazione. Inizialmente furono creati paesaggi intorno ai quali passeggiare e meditare rimanendo sui bordi. I sacerdoti Zen hanno poi assegnato alla loro costruzione lo scopo di aiutare alla comprensione più profonda dello Zen e dei suoi principi base che hanno portato alla creazione dei  kansho-niwa o giardini della contemplazione.

Si creano percorsi visivi uniformi e senza interruzioni che percorrono per la sua lunghezza il giardino e ruotano armoniosamente intorno alle isole. Spesso vengono aggiunti dei ponticelli che simboleggiano il passaggio attraverso il mare per raggiungere un punto di vista alternativo che altrimenti non sarebbe visibile. L’attraversamento è di buon auspicio all’inizio delle diverse stagioni, per operare profondi cambiamenti, secondo un’idea originaria della Cina classica.

Gli ideali estetici espressi nei giardini sono resi dalla disposizione degli elementi,  tale da creare un effetto di naturalezza evitando impatti eccessivi sulla percezione dell’intero giardino: la simmetria e l’eccessiva eterogeneità portano a scene complicate che disturbano la tranquillità visiva.

Il più celebre giardino zen è quello di Ryoan-ji a Kyōto, che detiene il primato dei giardini tradizionali più famosi nei suoi templi.

Oggi è possibile acquistare dei "giardini zen da tavolo", i cosidetti bonseki (da una superficie minima di 30 cm quadrati ad una massima di 200×150). La loro struttura portante, simile ad una cornice, è in legno di colore, preferibilmente, nero. La sabbia deve essere quella adatta, di colore bianco o grigio chiarissimo e richiede una frequente pettinatura, azione che ha lo scopo di indurre uno stato di benessere ed anti-stress: il rastrello, simbolo di creatività, serve a disegnare sulla sabbia del giardino Zen il proprio mondo interiore.
In essi devono essere rispettati tutti i canoni tradizionali, quali il posizionamento delle pietre, la rappresentazione delle onde sulla sabbia e, opzionalmente, i fiumi di roccia.
Il Bonseki deve essere posizionato preferibilmente al centro di una stanza oppure sul lato ovest della stessa. Il giardino in miniatura deve essere illuminato dalla luce del sole durante il giorno. Nelle ore notturne va illuminato con una lanterna in carta di riso o in bambù.

Fonti:

http://it.wikipedia.org/wiki/Giardino_zen

http://www.casazen.com/giappone_tradizionale/

http://www.giardinigiapponesi.it/

http://www.zr-giardinaggio.it/

Maneki-Neko

Il nome forse non vi suonerà famigliare ma sicuramente avrete visto un Maneki-Neko in un fumetto manga, nei servizi televisivi sul Giappone, in qualche film orientale.
Il Maneki-Neko (letteralmente "gatto che ti chiama"; anche noto come "gatto che da il benvenuto", "gatto della fortuna", "gatto del denaro") è una diffusa scultura giapponese raffigurante un gatto, in genere un Japanese Bobtail, con la zampa alzata e solitamente è esposta in negozi, ristoranti, sale pachinko e altre attività commerciali
Originariamente gli animali portafortuna in Giappone erano i tanuki (procioni) e la inaki (la dea volpe dei raccolti). Questi due animali erano riconosciuti come portatori di buona fortuna per gli affari e spesso i negozi esponevano le loro statue e immagini, allo stesso modo in cui oggi si espone il Maneki-Neko.
Ne vengono modellate ogni anno in quantità impressionanti, con tutti i materiali immaginabili, dal legno alla cartapesta, dal ferro alla porcellana; solo la forma è la stessa, un gatto seduto con un bavaglino e una campanella allacciati al collo e una zampa sollevata in segno di saluto

Interessante è la posizione delle zampe.
Alcune voci dicono che la zampa sinistra sollevata significano denaro e fortuna, mentre la destra significa buona fortuna e salute. Altre sostengono che la sinistra propizi gli affari e la destra la famiglia.
Una credenza popolare è quella che consiglia di comprare un Maneki-Neko al mese, alternando la zampa sinistra per i mesi dispari e quella destra per i pari, alla fine di 48 mesi ci si sarebbe assicurati la buona fortuna per la durata di tutta la vita, sia dal punto di vista professionale che personale. E poi attenzione, più è alta la zampa sollevata, maggiore è la buona sorte!

I Maneki Neko si trovano di ogni colore. ( il significato dei colori sono incredibilmente vari):

  • Tricolor: Il colore di base è bianco, con macchie nere e arancioni disposte a caso. Questa colorazione è considerata particolarmente fortunata ed è quella più popolare per i Maneki-Neko. La credenza potrebbe essere correlata alla rarità di questa colorazione nei gatti bobtail giapponesi, ai quali è ispirata la rappresentazione del Maneki-Neko. In Giappone questo colore è chiamato Mi-ke, che significa tre-pelliccie (o tri-pelo).
  • Bianco: I gatti bianchi indicano purezza e sono il secondo tipo per diffusione.
  • Nero: Si dice che i Maneki-Neko neri portino buona salute e tengano lontano gli influssi negativi. Sono molto apprezzati dalle donne perché dovrebbero essere particolarmente efficaci nel tenere lontano i molestatori.
  • Rosso: Anche il rosso è un colore protettivo, e si ritiene che tenga lontani gli spiriti maligni e la malattia.
  • Oro: associato con la ricchezza, il benessere economico.
  • Rosa: Non è un colore della tradizione, attualmente è un colore popolare e associato all’amore.
  • Verde: Si dice che porti riconoscimenti accademici.

I Maneki-Neko di solito hanno un qualche accessorio attorno al collo (collarino o fazzoletto) e di solito sono raffigurati con in mano una moneta d’oro chiamata koban, usata in giappone nel Periodo Edo. La moneta ovviamente è legata al ruolo del gatto nell’attrarre la fortuna e il benessere materiale.
Non sorprende quindi che spesso il Maneki-Neko sia usato come salvadanaio.  A volte monete di piccolo taglio vengono lasciate come offerte a un Maneki-Neko. Questa usanza è in qualche modo simile a quella di lanciare una moneta in una fontana per buon augurio.

L’origine del Maneki-Neko è spiegata attraverso varie leggende.
Una tra le tante è ambientata nel XVII secolo e narra di un gatto, Tama, che faceva compagnia ad un monaco molto povero.
Un giorno un uomo ricco e potente si riparò sotto un albero durante una tempesta e ad un certo punto vide il gatto Tama che gli faceva segno con la zampa di venire verso di lui. Quando si scostò dall’albero, per avvicinarsi al gatto, un fulmine colpì l’albero.
Come ringraziamento l’uomo ricompensò il monaco, padrone del gatto che gli aveva salvato la vita.
Così nacque la leggenda del Maneki-Neko, il gatto che saluta.

Chi fosse incuriosito dal Maneki-Neko deve visitare l’area del Tempio di Ise, durante la festività chiamata Kuru Fuku Maneki Neko Matsuri (festa del gatto gesticolante che porta fortuna), che si svolge sempre il 29 settembre e dura fino al 10 ottobre. Sebbene non collegata da un punto di vista religioso con il Tempio di Ise, vi sono alcuni negozi specializzati di Maneki-Neko nelle vie commerciali vicine. Durante la celebrazione poi non mancano le numerose bancarelle che vendono oggetti legati al gatto che saluta.


Sitografia:

Il Capodanno in Giappone..

estratto tratto dal sito www.higan.it

Come si festeggia il Capodanno in Giappone?[…] Il modo tradizionale di festeggiare nasce da un tentativo di allontanare tutte le negatività portando invece fortuna a noi, alla nostra casa e a chi ci sta vicino.   

I primi tre giorni dell’anno nuovo, detti sanganichi, sono i più importanti e ci si prepara a lungo per accoglierli. Tra i preparativi rivestono molta importanza: una generale pulizia della casa, ore passate a scrivere biglietti di auguri a parenti, amici e colleghi di lavoro (più un obbligo sociale che una scelta), ed il confezionamento di   decorazioni fatte di pezzi di bambù, rami di pino e corde  intrecciate a mano da mettere sopra la porta per tenere lontani gli spiriti cattivi.
In campagna spesso ci si ritrova ancora per intrecciare le corde con la paglia: è un modo per stare assieme compiendo gesti che ricordano la sacralità delle cerimonie.  […]Un’altra preparazione è l’
omochi
, ovvero il riso pestato in una specie di incudine di legno con un grosso martello, anch’esso di legno. Mentre una persona rimescola con le mani il pastone di riso, una seconda batte con il martello mantenendo ritmo sostenuto, energia e velocità.
[…]Il cibo tipico che si mangia il 31 dicembre varia da regione a regione, ma ogni alimento ha un significato preciso, spesso ispirato dalla sua forma.
Il cibo
osechiryouri – viene preparato con cura, e si tratta quasi sempre di cibo secco che deve durare per i primi tre giorni del Capodanno, in quanto non si avrà più tempo di prepararne di nuovo. Viene conservato in costose scatole laccate rosse e nere, ben decorate.  […]

La notte del 31 dicembre assomiglia un po’ al Natale italiano: si cena assieme a tutta la famiglia guardando in TV iimagel meglio ed il peggio di quello che è successo durante l’anno  che sta per chiudersi.  Al termine del cenone si va al tempio, buddhista o shintoista (molti indossano il kimono, altri abiti normali, ma comunque eleganti). I templi rimangono chiusi fino alla mezzanotte, quando risuona la campana; quindi tutti i presenti, in coda, arrivano davanti all’altare e battono le mani due volte per chiamare gli dei; si recita una breve preghiera e si fa un’offerta. La campana suona 108 volte, perché tanti sono i desideri ed i peccati che l’uomo si porta dentro e che devono essere cacciati fuori.
Il resto delle feste si trascorre visitando altri tempi ed altri parenti; chi riesce si riposa un po’ prima dell’inizio di un altro anno di duro lavoro.

Quindi, per usare la tipica espressione benaugurale giapponese:

よいお年を!  

yoi otoshi o… Buon Anno!

A cura di: Silvio Franceschinelli
Istituto Linguistico e Culturale Il Mulino

Il Giappone a Roma!

FREEMARKET GIAPPONESE:

Finalmente la terza edizione del Freemarket Giapponese ha una data definitiva: Domenica 16 Dicembre 2007 a partire dalle 11 di mattina fino a notte, stavolta presso il Circolo degli Artisti, in via Casilina Vecchia 42, a ROMA!

Un piccolo spazio che viene aperto periodicamente dai proprietari del negozio Giapponeria Sakurashu a tutti gli appassionati del Sol Levante.

Accorriamo numerosi!

Leggenda di…stagione

Yuki-Onna, la "Signora della Neve"

Secondo un’antica leggenda giapponese, in un villaggio della provincia di Musasho vivevano due taglialegna: Minokichi e Mosaku. Mosaku era un uomo molto anziano, Minokichi un diciottenne.
I due, ogni giorno si recavano in un bosco a cinque miglia dal loro villaggio e attraversavano un fiume con un traghetto. Più volte era stato costruito un ponte, per facilitare il passaggio verso l’altra sponda del fiume, ma puntualmente la corrente lo aveva distrutto.  Una sera, ritornando a casa dal bosco, furono sorpresi da una tempesta di neve. Arrivarono a fatica al traghetto, ma il traghettatore se ne era già andato, abbandonando la sua barca sulla riva opposta del fiume.
Visto che la tempesta impediva loro di cercare altro rifugio, Minokichi e Mosaku si rifugiarono nella capanna del traghettatore, una piccola baracca, con una porta e nessuna finestra, in cui non c’era nulla per accendere un fuoco per riscaldarsi.
Si misero a dormire, coperti solo dai loro mantelli di paglia. Il vecchio si addormentò quasi subito, ma il ragazzo, Minokichi, restò sveglio a lungo, ascoltando il terribile vento e il continuo battere della neve contro la porta. Il fiume mugghiava e la capanna ondeggiava e cigolava come una giunca sul mare.  Era una tempesta spaventosa: l’aria si faceva di momento in momento più fredda, e Minokichi rabbrividiva sotto il suo mantello. Ma alla fine, malgrado il freddo, anche lui si addormentò. Si risvegliò a causa della neve che gli cadeva sul volto e notò la porta aperta, era stata forzata, e, al chiarore prodotto dalla neve (yuki-akari), notò una donna vestita di bianco. Era china su Mosaku, alitava su di lui; il suo fiato appariva come un luminoso fumo bianco.
Nello stesso istante si volse e si chinò su Minokichi, che invano cercò di urlare, non riuscendo ad emetter alcun suono. Il volto della donna quasi sfiorò quello di Minokichi, che si accorse della sua bellezza e dei suoi inquietanti quanto splendidi occhi.
Lei stette a lungo a fissarlo, fino a che gli sorrise: “Sei così giovane e attraente, non posso che provar compassione per te.. Volevo far a te ciò che ho fatto all’altro uomo, ma non ce la faccio.. Ma se mai dirai a qualcuno ciò che hai visto questa notte, io lo verrò a sapere e ti ucciderò!”, dopo queste parole, la donna andò via, scomparendo fra la neve.
Minokichi chiuse di nuovo la porta, per evitar che la neve entrasse dentro, e pensò di aver solo sognato! Ma quando si avvicinò a Mosaku, si accorse che era morto, il suo corpo era gelato.
Quando cessò la tempesta, poco dopo l’alba, il traghettatore trovò Minokichi svenuto, accanto al corpo congelato di Mosaku.
Minokichi fu subito soccorso. Rimase, a causa del freddo di quella notte, a lungo malato, fino a che si riprese del tutto. Mai rivelò della donna bianca e di ciò che vide quella notte.
Tornò alla sua normale attività, ogni giorno, recandosi nel bosco, oltre il fiume, per raccoglier legna che poi vendeva, grazie anche all’aiuto della madre.
Una sera d’inverno, dell’anno seguente, mentre era di ritorno a casa, incontrò una ragazza molto bella che rispose al saluto con una voce molto dolce e delicata. Minokichi fece un po’ di strana con lei, i due si misero a parlare. La ragazza disse di chiamarsi O-Yuki, che era da poco rimasta orfana e per questo si stava recando da alcuni parenti, a Yedo, dove avrebbe anche lavorato come cameriera.
Minokichi, più guardava la ragazza, più ne restava ammaliato.. Le chiese se fosse sposata o fidanzata. O-Yuki, ridendo, rispose di esser libera, fece la stessa domanda a Minokichi che disse di non aver mai preso in considerazione l’idea di un legame particolarmente profondo, perchè ancor troppo giovane.
Dopo queste confidenze, camminarono per un bel po’ senza parlare, ma, come dice il proverbio, “Ki ga aréba, mé mo kuchi hodo ni mono wo iu”: “Quando c’è il desiderio, gli occhi sanno dire più della bocca”, così, giunti al villaggio, Minokichi ospitò la ragazza da lui per qualche giorno. Dopo qualche timida esitazione, alla fine O-Yuki accettò l’invito e fu presto accolta dalla madre di Minokichi, che le preparò un pasto caldo, per ristorarla dopo il lungo viaggio. Ben presto, anche la madre di Minokichi si affezionò alla giovane O-Yuki, convincendola a rimanere lì come “onorevole nuora”.
O-Yuki si dimostrò una brava nuora, infatti cinque anni dopo, in punto di morte, la madre di Minokichi lodò la giovane, che si era rivelata un’ottima moglie per il figlio.
O-Yuki e Minokichi ebbero dieci figli, maschi e femmine, tutti bellissimi e di carnagione molto chiara, come la madre.
Gli anni passarono. La gente del posto invecchiava, eppure O-Yuki si manteneva sempre giovane e bellissima, come il giorno in cui incontrò il suo futuro marito.
Una sera, dopo aver messo a letto i bambini, O-Yuki si avvicinò alla luce di una lanterna di carta. Minokichi, guardandola, illuminata da quel lieve bagliore, le disse che la ricordava una donna che incontrò q uando aveva diciotto anni. “Parlami di lei”, disse O-Yuki.
Minokichi le raccontò tutto ciò che successe quella notte, di molti anni fa, della morte di Mosaku e della donna bianca. “Non ho mai capito se ciò che vidi anni fa, fosse solo un sogno, o se quella che vidi fosse la Signora della Neve.” O-Yuki, si avvicinò come una furia al marito, lasciando anche cadere una sedia, e con aria quasi furiosa gli disse: “Quella signora ero io, io! Yuki! Ti avevo anche detto di non parlar ad anima viva di quella notte, eppure tu lo hai fatto. Ora, io non ti ucciderò, non per il momento almeno, non lo faccio per i nostri figli, ma da ora in avanti dovrai occuparti di loro e dargli tutto l’amore che puoi, perché se anche uno solo di loro si lamenterà di te, allora ti ucciderò!”
Dopo che ebbe urlato ciò, sparì, dissolvendosi in una nebbia bianca luminosa, che si sollevò, uscendo oltre al camino. Nessuno rivide mai più O-Yuki*.
 

* Yuki significa neve. Questo elemento fa ampiamente parte delle leggende e fiabe giapponesi tanto da essere caratteristico di un intero genere. Per approfondimenti, rimando alle fonti:

http://www.nipponico.com/kaguya/articolo10.php

http://www.ibfree.org/index.php?mforum=bonnycorner&act=idx

http://www.ilbazardimari.net/leggende/

http://mythologica.fr/japon/yukionna.htm

Matrimonio in Giappone

In Giappone il matrimonio e’ solo civile, eventuali riti e cerimonie si svolgono in luoghi e momenti differenti, un rito religioso in Giappone non ha valore ai fini civili perché non esiste il concordato tra stato e chiesa.

Come cerimonia oggi il 65.9% delle coppie pur non avendo religione o non essendo cattolici o protestanti scelgono il matrimonio in chiesa con cerimonia in maggior parte protestante. Il 16.3% fanno una semplice cerimonia, spesso nella stessa sala dove si svolge il banchetto, dove una persona dichiara la coppia marito e moglie di fronte a tutti gli inviati, il 15.8% scelgono la cerimonia shintoista nel tempio, il 0.7% con ceromina buddista e il 0.4% sceglie altre cerimonie (dati del 2006).
Ovviamente la scelta più gettonata è dettata più che altro da una moda e molte ragazze sognano di indossare il vestito bianco cosi come vedono fare dalla televisione in occidente.

Anche in Giappone si usano le partecipazioni, preferibilmente scritte a mano e tendenzialemente si invitano le persone più che le famiglie, nel senso che non si è obbligati ad invitare tutta la famiglia di una persona se questa è sposata con figli.
Anche nel paese del sol levante si usa lo scambio di anelli che si preferiscono di platino.
Agli invitati, che principalmente regalano agli sposi soldi, si dona un oggetto di costo medio tra i 25 e i 35 euro ed è differenziato a secondo dal grado di parentela o amicizia o se la persona è da sola o con la famiglia. Recentemente è di moda "il catalogo": in pratica gli invitati ricevono un catalogo con diversi oggetti e ognuno può scegliere quello che più preferisce, una volta scelto l’oggetto si stacca una cartolina associata preaffrancata e si spedisce, l’oggetto arriverà durettamente a casa.

Le feste nuziali sono piene di colore ed allegria e, ultimamente, vengono praticamente organizzate dagli alberghi di classe. Infatti questi offrono pacchetti completi come i 2 kimoni per la sposa, uno per la cerimonia ed uno per la festa, i troni dove potersi sposare e un tempio piccolo dove si può celebrare la cerimonia.

Durante la cerimonia la sposa porta in testa un panno bianco ripiegato: si chiama "tsuno kakushi" (coperta per nascondere le corna).

In Giappone "le corna" simbolizzano la rabbia, e portare questo cappello significa che la sposa sarà sempre docile e non si arrabbierà mai.

 

In Giappone è diffuso un tipo di matrimonio combinato molto particolare: giunta all’età di circa 25 anni una ragazza prepara una sua scheda personale con studi, aspirazioni lavorative, preferenze e hobbies e la inoltra in giro tramite colleghi di lavoro, parenti, amici e agenzie matrimoniali. In questo modo può venire contattata da giovani in cerca di moglie con i quali stabilirà un primo incontro.
Non è indispensabile che tutto finisca con un matrimonio subito: i due giovani iniziano a frequentarsi in base ad affinità ed altro e solo in seguito decidono (e la scelta spetta ad entrambi, sullo stesso piano) se sposarsi o meno. A chi, come alcuni sociologi americani, critica questa filosofia di vita, in Giappone rispondono che i matrimoni nati in questo modo hanno dieci volte in più la possibilità di durare rispetto a quelli d’amore all’occidentale, che spesso si concludono nel Paese del Sol levante con un divorzio già al ritorno dalla luna di miele.

Il rituale matrimoniale shintoista è molto suggestivo: gli sposi, con indosso due kimoni particolarmente fastosi, bevono ciascuno tre volte da una ciotola con dentro riso e sakè. Ma il fascino per la cultura occidentale è talmente forte in Giappone che molti giovani scelgono un matrimonio all’occidentale, con tanto di abito bianco e lungo con il velo. Tra tutte le coppie che si sono sposate l’anno scorso, circa il 10% (provenienti soprattutto da metropoli come Tokyo o Osaka) ha celebrato il matrimonio all’estero, e sono circa 51.760 coppie: cinque volte in più rispetto a 5 anni fa.

 

Un dato curioso è che il 60% dei matrimoni con coniugi giapponesi viene celebrato all’estero. La meta più gettonata sono le Hawaii, sia per motivi di logistica, ( sono molto vicine al Giappone ) sia perché sulle isole ci sono circa 200 chiese e cappelle pronte a sposare giovani innamorati anche se si presentano qualche ora prima. Anche molte delle coppie che inizialmente sceglierebbero l’Europa e le sue solenni cattedrali, finiscono poi col cambiare idea poiché parenti e ospiti avrebbero problemi di lingua, inesistenti alle Hawaii, dove si può comunicare in giapponese. Alle Hawaii seguono, nelle preferenze degli aspiranti sposini, l’isola Guam, l’Oceania e il Nord America, e in caso di maggiore disponibilità di tempo e denaro l’Europa.

 

 

Fonti:

http://massa.typepad.com/dal_giappone/

http://viaggi.deanetwork.net/matrimonio_in_giappone.asp

http://www.sposimarche.it/sito/ancona/curiosita.asp

http://www.seta.it/code/unica/index.php 

http://tommysnow.blogspot.com/