“Il velo fatato”

Immagine di Karl Bang

C’era una volta un pescatore che viveva felice in una misera capanna in riva al mare. Passava le sue giornate a pescare, poi andava a vendere il pesce in paese. La sua esistenza poteva sembrare monotona, perché non gli capitava mai nulla di straordinario; ma per lui erano cose straordinarie le albe color della madreperla, i meriggi col mare che sembrava uno specchio, i tramonti tutti rossi e d’oro, le notti tempestate di stelle, e perfino le burrasche, quando i nuvolosi neri sembravano abbassarsi fino a toccare la cresta schiumosa delle onde. Perciò egli trovava meravigliose tutte le sue ore e viveva felice e in pace con sé e con gli altri. Un mattino in cui, come al solito, era andato a pescare, mentre gettava l’amo nell’acqua, si guardò intorno e pensò: ” Oggi è una giornata particolarmente splendida. Il mare è azzurro di cobalto, il cielo è terso e infinito, l’aria è purissima, il verde dei pini è smagliante”. Mentre pensava così, sentì un profumo acuto e soave, che non avrebbe saputo attribuire a nessun fiore conosciuto, ma che era così forte da stordire. “Voglio vedere da dove proviene quel profumo così buono” pensò; e deposta la canna sulla riva, segui la scia del buon odore. Arrivato ai margini del bosco vide un magnifico velo appeso ai rami di un pino. Il profumo veniva proprio di là. – Oh! – esclamò il pescatore. – Che meraviglia! Porterò a casa quel velo e lo conserverò come un tesoro a ricordo di questa stupenda giornata. Subito si arrampicò sull’albero, stacco delicatamente il velo dai rami, poi ridiscese a terra. Distese con precauzione il velo sull’erba e rimase a guardarlo affascinato. Era davvero una meraviglia, il più bel velo che occhio d’uomo avesse mai visto. Intessuto di raggi di luna frammisti a raggi di sole, scintillava qua e là di lucentissime stelle; e nonostante fosse così largo da poter avvolgere una persona, era anche tanto sottile e leggiero che si poteva raccogliere tutto nel palmo di una mano. Dopo averlo ammirato a lungo, il pescatore lo piegò con precauzione e si avviò verso casa per riporlo; ma in quel momento dall’ombra di un pino sbucò una deliziosa fanciulla. 

-Ehi, buon uomo, quel velo è mio! – gridò – E’ il velo delle ninfe celesti. Ridammelo subito, per cortesia.

Senza nemmeno voltarsi il pescatore rispose:

– Allora è veramente un velo prezioso. Sarei uno sciocco, se te lo restituissi.

Poi si volse per vedere chi aveva parlato. La fanciulla che gli stava davanti era bellissima, una vera ninfa celeste. Aveva i capelli lunghi e neri sciolti sulle spalle; indossava un kimono che sembrava d’argento; ma in quel momento il suo viso era rigato di pianto.

– Ti prego, dammi il velo, altrimenti non potrò tornare fra le mie sorelle – supplicò con voce di pianto; e nel suo dolore sembrò anche più bella. Il pescatore non si staccava di contemplare la bellissima fanciulla, e a poco a poco il suo cuore si intenerì.

– Te lo restituirò se tu mi prometti di restare quaggiù con me a danzare le meravigliose danze del cielo – disse.

– Oh, si, danzerò per te; ma tu ridammi il velo.

– Fossi sciocco! Se te lo restituisco, tu voli subito in cielo e io non potrò mai più vederti, ne sono certo!

– No. Ho promesso che danzerò per te e lo farò. Nessun mortale ha mai veduto le danze delle ninfe celesti, ma tu lo vedrai. E sappi che le ninfe non mentono mai. Il pescatore si lasciò pregare un altro poco, e infine restituì il velo. La fanciulla se ne avvolse e incominciò subito una danza meravigliosa. Il pescatore sedette sopra un tronco e la guardò rapito. Il velo ondeggiava intorno alla ninfa come sostenuto da mani invisibili, e intanto i suoi piedini si staccavano leggermente dalla terra; ella restò sospesa nell’aria, mentre dal cielo cadeva una pioggia di fiori stupendi. Il pescatore ben presto si accorse che i suoi timori erano fondati; vide con apprensione la fanciulla salire leggera nell’aria, allontanarsi, su, su, verso le cime del sacro monte Fugi. Voleva chiamarla ma non riusciva, voleva tendere le braccia, ma non poteva sollevarle. E pian piano la ninfa si dissipò nella nebbia che avvolgeva le pendici del Fugi, e le vette candide di neve. Non ci fu più, all’orizzonte, che il meraviglioso panorama di sempre. Ma il pescatore sentiva nel cuore una gran pace e il ricordo di una viva felicità, come se si fosse appena svegliato da un bellissimo sogno. ” E’ davvero una giornata meravigliosa” penso. ” Finché avrò vita non dimenticherò quella fanciulla soave”. E ritornò a passi lenti alla riva del mare per riprendere la canna da pesca abbandonata poco prima sulla sabbia.

Favola in metrica

  

Metà del cielo
tra ghirigori di onde
sole sommerso
 

EufemiaG

 

 

 

Vola l’amico

della strega Violetta

vola l’amore

 

 Va e stringe la  pozione

il suo becco fedele.

IrinaP

 

 

 

 

 Col naso all’insù
al tramonto dipinto
un breve volo

EufemiaG

 

 

 

Giunge l’amico

della strega Violetta

giunge l’amore…

 

Ecco il prescelto:

beve l’incantesimo!

IrinaP

 

 

LE DUE FORTUNE

Ovvero… la "Cenerentola" d’Oriente!

C’era una volta un uomo che era rimasto vedovo e viveva con una figlia di nome Fortuna.
Un giorno l’uomo, desideroso di ridare una madre alla figlia, si risposò con una donna il cui nome era Fortuna, lo stesso della figlia.
La figlia dell’uomo era molto carina, mentre quella della donna era decisamente brutta.
La matrigna era molto gelosa della figliastra, anche perché il suo nuovo marito era ricco, ma la sua ricchezza sarebbe stata divisa tra le due ragazze.
Per questo motivo la figliastra era costretta ogni giorno a fare i lavori più pesanti, mentre la vera figlia della moglie poteva fare tutto quello che voleva senza nessuna preoccupazione.
Un giorno la matrigna con la sorellastra andarono in città a fare spese e lasciarono alla povera Fortuna tutti i lavori da fare tra i qualic’era anche quello di dover andare a lavare dieci pesantissimi sacchi di riso nello stagno vicino casa.

Fortuna era disperata, si mise così in riva allo stagno e scoppiò a piangere.
Le sue lacrime caddero nell’acqua che iniziò a cambiare colore. Ad un certo punto si udì una voce dire: "Fortuna sono la tua mamma, ti voglio aiutare.
Cogli una delle canne di bambù che crescono qui vicino e battila una volta sul tuo fianco esprimendo un desiderio. Vedrai che si avvererà".
Fortuna fece come le era stato detto e riuscì a terminare il lavoro.
Poco tempo dopo il figlio del governatore diede una festa per cercare moglie.
La matrigna e la sorellastra andarono immediatamente al ricevimento.
Fortuna allora si recò allo stagno e chiese di poter avere l’abito più bello di tutti, così potè andare al ballo.

Il figlio del governatore s’innamorò di Fortuna a prima vista.
In poco tempo la ragazza potè lasciare la casa paterna e si sposò con il giovane, mentre la matrigna e la sorellastra non capirono mai il segreto dello stagno.

Da Giappone – Guida di Dada.net, a cura di Daisy Bozza

Bunbuku Chagama

Il "Bunbuku chagama" è un’antica fiaba giapponese di cui esistono varie versioni. Semplice e facile da ricordare, racchiude al suo interno una morale di bontà ed altruismo.
 
C’era una volta un antiquario in una città ai piedi di una montagna.
Un giorno camminando vide un tanuki (è un animale della famiglia dei procioni, spesso abbinato a delle leggende) finito in una trappola.
L’antiquario provò pena per il povero animale e decise di liberarlo proseguendo poi per il suo cammino.
Il tanuki seguì l’antiquario fino al suo negozio e qui decise di fare qualcosa in segno di riconoscenza, si trasformò in un Chagama (bollitore di ghisa per il tè) e si nascose fra le merci.
Non passò molto tempo prima che l’antiquario notasse il Chagama e non sapendo spiegarsi la provenienza di quel misterioso oggetto decise di andare al tempio e mostrarlo al bonzo(sacerdote della religione di Fo o di Buddha).
Questi, osservato con cura l’oggetto e trovatolo molto gradevole, decise di acquistarlo e di usarlo immediatamente, ma appena versata l’acqua e messo il Chagama sul fuoco si sentì un grido, poi il Chagama si mosse.
Ne uscì una coda, zampe e… la testa di un tanuki:"Ahii! Che caldo!! Non ce la faccio!".
Il bonzo, a sua volta sbalordito, gridò: "Un mostroooo!".
Sentendo il grido, i novizi accorsero dal bonzo, ma ormai dal Chagama erano sparite gambe, braccia e testa.
Ripresosi dallo spavento il bonzo non volle più saperne del bollitore e restituì il Chagama all’antiquario.
Durante la notte il tanuki decise di rivelarsi all’antiquario e spiegò tutta la storia: "Signor antiquario, sono il tanuki che Lei ha aiutato un giorno. Ero in una trappola. E volevo fare qualcosa per Lei. E mi sono trasformato in un Chagama. Così mi può vendere per tanti soldi. Ma ho sorpreso il bonzo e sono tornato da Lei. Vorrei ancora fare qualcosa per Lei. Io lavorerò per Lei facendo delle acrobazie. Sono un funambolo!". Così disse il tanuki sorridendo.
Il giorno dopo e per molti altri a seguire, il tanuki eseguì dall’interno del Chagama una serie di acrobazie attirando numerosi visitatori e clienti al negozio dell’antiquario che ben presto divenne ricco.
L’antiquario, che non era una persona avida, decise di dare una parte dei soldi guadagnati al tanuki e di farlo tornare nella foresta, ma l’animale risponde tristemente che oramai era passato troppo tempo e non era più possibile trasformarsi nuovamente in tanuki perchè aveva ormai dimenticato come fare.
L’uomo fu molto dispiaciuto sentendo questa storia, così decise di tornare al tempio e spiegare al monaco tutto quello che era successo al tanuki.
"Per favore, La prego di tenere questo tanuki qui", anche il bonzo si commosse per la storia del tanuki e decise di tenerlo nel tempio.

Da allora, il Chagama è adorato come "Bunbuku Chagama" (Bollitore che divide la fortuna) ed è esposto ancora come un tesoro nel tempio Morinji di Tatebayashi, nella prefettura di Gumma.
 
 
 
 
Fonti:
Fiabe e Leggende di SuperEva – Guide

All'ombra dei mandorli in fiore

Questa non è una storia qualunque. E’ una fiaba di altri tempi che una sera di tanti anni fa, mi raccontò mia madre, alla fioca luce della candela, in una notte d’inverno….

 

*

 

C’era una volta nella lontana terra d’oriente un reame meraviglioso la cui fama era conosciuta in tutte le terre confinanti.

Un’eterna primavera sembrava dominare il cielo di quei luoghi incantati ed il sole ne illuminava i verdi prati, con le sue braccia di luce.

Ma quel reame così antico, più di tutto era conosciuto per i suoi mandorli, ricoperti da una miriade di fiori rosa e bianchi, il cui profumo regalava ai suoi abitanti un’eterna felicità.

Eppure nel cuore di quell’antico paese una notte profonda si era insediata. Akaito, sovrano di quelle terre dai cieli senza confini, aveva deciso che Hisa, sua figlia minore, sarebbe presto partita per i paesi oltre la volta del cielo, per andare in sposa, al potente principe Keitari.

Keitari non l’aveva mai vista, ma in tutto il regno oltre le antiche colline, la fama della sua bellezza era ivi giunta da molto tempo, sulle ali del vento di primavera profumato di fiori di mandorlo.

Tutto era pronto per la partenza di Hisa e si narra, che da lì a poco, tutto il regno si sarebbe vestito a festa per celebrare le nozze dell’amata principessa.

Quando quel giorno arrivò, accadde una cosa straordinaria ed imprevista: i mandorli  in fiore in quel paese illuminato da un sole eterno, sembravano piangere la partenza dell’amata Hisa.

Essi appassirono e i colori delle sue gote che avevano colorato i fiori dall’eterno profumo, sbiadirono sotto la pallida luce dell’astro che triste si nascose dietro le montagne.

Un lungo inverno si insediò nel cuore della gente e petali rosa presero a vorticare nel vento come tante lacrime, le stesse che scendevano copiose dal volto della fanciulla.

Il viaggio durò molti giorni, finché il corteo reale arrivò nel reame oltre la volta del cielo

 Lì la accolsero i dignitari di quel  regno vestiti in abiti sontuosi che le diedero il benvenuto, seguendo un cerimoniale antichissimo, che durò un giorno ed una notte.

Hisa non incontrò Keitari, perché la tradizione comandava che i due giovani si sarebbero guardati in volto, solo il primo giorno di primavera.

Passarono i giorni ed i mesi, ed il principe Keitari, chiese a Re Masaachi, suo padre, di incontrare Hisa il cui volto ancora non aveva veduto. Mancavano oramai pochi giorni al primo giorno di primavera e il destino, da tempo immemore scritto nelle maglie del tempo, si stava compiendo.

Quel primo giorno di primavera, Hisa pianse molto mentre le ancelle la vestivano con abiti sontuosi del colore dell’oro d’oriente e adornavano il suo collo diafano, con ricchi gioielli.

Mai una fanciulla dal volto così bello aveva dimorato nell’antico reame di Masaachi, ma nel cuore di Hisa, era scesa da tempo un’eterna notte che aveva spazzato via i ricordi felici del suo antico paese. Si apprestò a scendere il lungo scalone che portava nella grande sala, quando all’improvviso udì il tintinnio di un campanello. Allora si fermò e scorse in un angolo della scalinata, che conduceva all’enorme sala del tè, dove avrebbe incontrato Keitari, un piccolo campanello finemente intarsiato.  Si narra che Hisa lo raccolse e con mani gentili lo portò all’orecchio per sentirne il dolce suono. Ma quel campanello era magico e la leggenda narra, che chi ne avesse udito il suono anche per un breve istante, sarebbe stato avvolto per sempre  in un’eterna notte senza sogni, sospesa nel buio delle tenebre.

Le sue ancelle, che pur la accompagnavano verso il suo destino, non si accorsero di nulla e quando Keitari accorse, ella già dimorava nelle antiche stanze senza vita.

Un letto di fiori fu preparato per poggiare  il suo corpo di fulgida bellezza che la accolse nel suo grembo maculato di lacrime screziate di rosso vermiglio. Keitari, le prese le mani e donandole un bacio sul volto del colore della luna, si congedò dalla sua bellezza, nascondendo le lacrime dietro ai suoi occhi di antico guerriero che caddero copiose sulle vesti di Hisa.

 

*

Oh mamma che storia triste, – dissi io!

Aspetta bambino mio….la storia non è finita.

Non è finita? Oh mamma dimmi che Hisa non morì per sempre…

Non correre troppo con la fantasia, ascolta in silenzio ed assapora i miracoli dell’amore, mio piccolo bambino….

E fu così che mia madre mi narrò il finale della storia di Hisa e Keitari.

*

 

Un profumo di fiori aleggiava nell’aria mentre gli abitanti del regno oltre le colline piangevano la morte di Hisa. Poggiata sul bianco talamo, il suo corpo di fanciulla in fiore, rimase solitario nella stanza che avrebbe dovuto celebrare un’unione scritta nelle maglie del destino, da sempre.

All’improvviso una folata di vento spalancò la  finestra, vicino al luogo dove era stato adagiato il corpo di Hisa e le accarezzò le sontuose vesti da sposa. Come se avesse vissuto un’eterna notte senza sogni, ella aprì gli occhi e si guardò intorno. Ricordava ancora l’ultima immagine che era rimasta impressa nei suoi occhi: un campanello ed un suono delizioso che l’avevano trasportata nell’antico regno senza colori, di cui sentiva sempre parlare nelle antiche leggende del suo paese. E allora ricordò la leggenda del campanello che un giorno, da bambina aveva udito da sua madre. Esso sceglie e viene trovato da coloro che non hanno conosciuto l’amore finché l’antico sortilegio, viene spezzato dalle lacrime di un uomo innamorato.

E fu così che Hisa, come guidata da una mano invisibile, si affacciò all’ampia terrazza che dava sul giardino reale e con capelli mossi da un vento ribelle,  vide un giovane dall’aspetto sontuoso che era appoggiato di spalle, al tronco di un albero.

Non ne vedeva il volto, ma dall’aspetto si sarebbe detto un nobile guerriero.

Come guidata da una mano invisibile, discese le scale e arrivò in un magnifico giardino ove fioriva ogni sorta di fiori. Hisa ascoltava il sussurro del vento del nord che le recava il pianto della sua gente che ne piangeva la morte prematura.

Fu un attimo e si voltò…

Ella fece per fuggire via ma Keitari la afferrò per la mano sinistra e tenendola tra le sue, le disse:

“ Chi siete nobile fanciulla?”.

Allora Hisa svelò il suo volto celato dietro ad un ventaglio intarsiato d’oro e d’argento e lo rivelò a Keitari.

Essi si guardarono negli occhi ed il principe,  affatto spaventato, riconobbe il volto di Hisa, che solo il giorno prima aveva salutato per sempre.

E senza nulla domandarle assaporò il tocco di quella piccola mano gentile: Hisa era così bella anche all’ombra dei mandorli ancor privi di germogli e che attendevano ora l’arrivo della primavera. E così, si narra che come per incanto,  mille minuscoli fiori, i cui colori ricordavano quello delle labbra della fanciulla, iniziarono a fiorire.

Hisa e Keitari, si amarono dal loro primo incontro e poco dopo, venne celebrato un sontuoso matrimonio ed una magnifica festa  che durò tre giorni e tre notti.

Qualche giorno dopo, giunse a cavallo un messaggero dal paese natio della fanciulla e a gran voce annunciò che i mandorli, che avevano dormito il lungo sonno dell’inverno per molto e molto tempo, si erano risvegliati e i fiori tanto amati da Hisa, erano tornati nuovamente a fiorire….

 

Minuscoli fiori

torneranno a fiorire

là dove ora

tutto è ricoperto di neve.

Piccole gemme

dal cuore rosa

silenziosi petali

mossi dal vento

all’ombra dei mandorli in fiore.

 

*

La storia finisce qui, bambino mio…., mi disse mia madre.

Che bella storia mamma! E’ davvero meravigliosa, risposi.

Eh già bambino mio. È davvero meravigliosa e…sai una cosa? Ricorda queste mie parole ora e per sempre. L’amore e solo l’amore può vincere su tutto, e restituire la gioia ad un cuore perduto. Esso ha un gran potere e vale più dell’oro e di tutti i preziosi di questa terra. E vince sempre. Anche sull’ombra del tempo e dei giorni in cui le tenebre hanno preso il posto del sole.

Questa fiaba ha partecipato all’iniziativa letteraria

Rosso Fiabe su Rosso Venexiano

il 14 Dicembre 2006.

L’immagine della fanciulla è quella di Li Gong in Memorie

Di una Geisha; essa mi sembrava perfetta per il viso che ho immaginato di Hisa e per

descrivere la scena del terrazzo.

Infine dedico questa fiaba a N. luce dei miei giorni.